Vivere a Londra e osservare la Terra dalla Stazione Spaziale Internazionale credo che non siano due cose così diverse l’una dall’altra. Ovvio: non sono mai stata sulla ISS. Immagino nemmeno voi.
Quando sono di cattivo umore, quando il tempo è uggioso e ogni cosa si tinge di grigio, quando vorrei che sull’uscio di casa ci fosse un burrone ad attendermi e non uno zerbino polveroso, quando non trovo alcuna ragione al mondo per cui top-upparmi di buonumore l’anima, e non di soldi la Oyster Card.
Ecco. Quando tutto ha le sembianze di una merda cosmica, excuse my French, alzo lo sguardo al cielo, grigio o blu esso sia in quel momento, e penso alla Stazione Spaziale Internazionale. Penso a come deve essere guardare la Terra da lassù, al fatto che noi potremmo anche non esistere, da quella prospettiva, e che siamo un granellino di polvere atrofizzata, pronto ad essere spazzato via in qualsiasi momento dall’imprevedibilità del cosmo.
Però sei incazzata, perché hai una macchia di caffè sui jeans lavati il giorno prima con il sapone aroma bucaneve della steppa siberiana, e allora sticazzi del cosmo.
Forse tutto questo è un po’ patetico. Però funziona. Funziona perché mi rimette al mio posto, mi tranquillizza, mi ricorda che le uniche aspettative che devo soddisfare sono quelle che mi costruisco io, che sono solo una di passaggio e i riflettori del mondo non sono certo puntati su di me. Ma nemmeno per sogno.
E’ un pensiero che mi ricorda l’orizzonte del mare e la sua capacità di lenire le ferite interiori con la sola presenza, forte e irremovibile come poche altre certezze al mondo. Una forza capace di ridimensionare tutti i guai quotidiani, le ansie, le paure, noi stessi, e di restituirci la serenità che meritiamo.
Londra, dicevo. Ci sbattiamo come dei dannati per definirla, giustifichiamo la nostra presenza qui, non sappiamo se restare o andare via, tuttavia continuiamo ad orbitare sopra di essa con tutti i nostri laceranti dubbi, le nostre struggenti domande, e senza rendercene conto finiamo col godere di quella che potrebbe essere la libertà più grande: l’invisibilità.
Guardatevi intorno: quante storie incredibili riuscireste a racimolare, anche in soli dieci minuti trascorsi a chiaccherare con le persone sedute accanto a voi sull’autobus, sul treno, in coda allo sportello della banca?La risposta è: tante, tantissime. Al termine di questi incontri fortuiti, ho capito che io non sono così speciale come hanno sempre cercato di farmi credere, crescendo. E credetemi: è un sollievo enorme.
D’altro canto, la mia storia potrebbe suonare interessante alle orecchie di un’altra persona, e così via. Che cosa sarebbe, dunque, questa fantomatica invisibilità? E’ un potere speciale che ho scoperto di avere qui – e sono certa di non essere la sola – che ti permette di liberarti di tutti i fardelli oppressivi accumulatisi negli anni come strati di ruggine sulla pelle e di tirare un bel sospiro di sollievo perché per gli altri, appunto, sei invisibile, se non una semplice silhouette che la mattina prende posto sempre nello stesso vagone della Overground e cammina tutti i giorni da Whitechapel a Liverpool Street per andare al lavoro, e ritorno.
Anonimato, invisibilità. Whatever. Avere il potere di presentarsi a degli sconosciuti definendoci con le parole scelte da noi, e non con quelle più comode selezionate accuratamente da altri. Sentirsi liberi di cambiare, di ridefinirci, di giocare con le nostre molteplici identità, di cambiare il ritmo della nostra vita perché lo vogliamo noi, e non qualcun altro. Sentirsi un po’ più liberi, imparare ad esserlo ovunque, a partire da Londra.
Viviamo qui, spesso sentendoci come formiche in avanscoperta alla caccia di bricioline, attorniati costantemente da altre persone che, con ogni probabilità, conducono una vita più o meno simile a quella che portiamo avanti noi ogni singolo giorno. Il tempo è prezioso, ma le ore scivolano via gentili come olio sulla porcellana e noi andiamo avanti, stanchissimi ma tenaci, in direzione di conquiste che nemmeno noi sappiamo cosa rappresenteranno per le nostre vite.
(Non dimentichiamo che, nel breve periodo, anche il sopraggiungere del weekend ha le sembianze di una conquista clamorosa, se non di un miracolo).
Ci manca il sole, ci manca il mare, o la montagna, ci manca il cibo, la “qualità della vita”, gli amici, la famiglia, gli aperitivi in piazza, il vino buono a prezzi umani, eccetera, eccetera, eccetera. Ci somigliamo tutti, in questo. Non siamo più speciali di altri per via di queste forti nostalgie: ognuno di noi le affronta in modo diverso, e con i suoi tempi.
A Londra ho imparato a destreggiarmi tra sofferenze, ansie e sacrifici: tutti noi desideriamo evitarli, ogni momento delle nostre vite è volto a scongiurare disgrazie ed eventi spiacevoli alla disperata ricerca di una felicità istantanea e liofilizzata. Qui c’è tutto: la rabbia, i timori, i malumori, il meteoropatismo, gli scazzi infiniti, la mancanza cronica di tempo e di spazio, ma anche l’eccitazione per le novità, lo stupore infantile, la bellezza dietro lo scorcio più misero, il gusto della scoperta, la gioia di vivere e di voler gustare ogni singolo secondo di sole, perché potrebbe durare poco.
A Londra ho imparato a essere felice anche quando il mondo intero mi guarda e mi dice NO, non puoi, sei pazza.
E questa, per me, è la conquista più importante di tutte.
[Banalmente] a Londra è anche su Facebook, Twitter, Instagram e Pinterest!
Hai reso perfettamente l’idea del ritmo della vita londisnese… E non potrei essere piu’ d’accordo con te soprattutto sull’arrivo di quel miracolo che e’ il week-end (o, nel mio caso, di qualsiasi paio di giorni “off” che la mia rota mi metter davanti). il tempo e’ prezioso e si impara a non sprecarlo… 🙂
letto tutto d’un fiato.. Bello scritto.
Grazie Daniela, sono felice che ti sia piaciuto!
Ciao Paola, grazie! Perdona la risposta tardiva (a proposito di tempo che non è mai abbastanza 🙂 Hai ragione, qui tra mezzi pubblici, lavoro e commissioni varie si ha sempre la sensazione di non essere abbastanza organizzati e di non avere abbastanza tempo… L’aspetto positivo di questa faccenda, forse, è che diventiamo tutti degli abili organizzatori!
vero! ho la mia vita organizzata fino a Natale! 🙂
“ma le ore scivolano via gentili come olio su porcellana”, spero un giorno di trovare una donna che scrive come te.
Guido, grazie! Troppo gentile. 🙂