E’ venerdì, santo venerdì, e come ogni ultimo giorno della settimana lavorativa che si rispetti mi alzo dal letto affidandomi all’elegante stile detto “svuotamento sacco di patate sul pavimento”. Sarà la sessione di piscina del giovedì, sarà la stanchezza accumulata, sarà la bottiglia di Chardonnay della sera prima. Whatever.
Fatto sta che, con la pancia piena di cappuccino e scone (dolcetto ipercalorico molto in voga nelle terre anglosassoni) alle 7.50 mi trascino fuori di casa per prendere l’ultima Overground utile per arrivare al lavoro in orario.
Mi piace molto viaggiare sulla Overground di mattina. I vagoni sono spaziosi e puliti. I pendolari dormono, o quasi. Se non dormono, leggono, giocano col telefono, scrivono sul laptop, ascoltano la musica. I pochi esemplari in vena di chiacchiere rischiano di essere trafitti da occhiatacce e lievi colpi di tosse, ma sempre con calma ed un filo di comprensione, ché sti benedetti Londoners hanno una pazienza del diavolo (quasi sempre, diciamo).
Noi, pendolari della Overground, siamo gente fortunata. Non dobbiamo alzarci la mattina con la cosiddetta ansia della gazzella e la sua corsa per la sopravvivenza, ovvero quell’angosciosa accettazione del dover affrontare i sotterranei metropolitani aspettando senza spinte né ansie un treno diretto a ovest rigurgitante silenzi mattutini e facce spiaccicate contro i vetri. La chirurgica frequenza settata sui 60 secondi dalle 7 alle 9 non riesce mai nell’intento di alleviare la banchina della stazione X dalla costante presenza di centinaia di uggiose anime, fautrici e vittime al tempo stesso di un incredibile silenzio, che penzolano rassegnate dopo aver fallito la salita del mezzo con i piedi ben saldi sulla scritta mind the gap ed il treno che sfreccia puntuale ed impassibile a due centimetri dall’attesa. Sguardo dritto verso un orizzonte di poster pubblicitari e video.
Insomma, dal lunedì al venerdì mi scampo tutto questo, e ciò non è affatto male. Poggiare i piedi sullo scendiletto con la prospettiva di un posto a sedere sul treno, con tanto di spazio e pullulare di labbra serrate, è cosa assai gradita.
Si sviluppano abitudini. Come quella di camminare per dieci minuti fino alla stazione di Whitechapel anziché raggiungere la stazione della metro più vicina, giusto per sgranchire le gambe in vista di otto ore di poltrona in ufficio. Mangiare un frutto sulla strada. O un biscotto. Prendere il treno al volo, e accaparrarmi gelosamente il posto più vicino alle porte.
I dieci minuti di viaggio in galleria sono solitamente spendibili in letture, con tutta la buona volontà del mondo. Salvo cadere in quel deprecabile tunnel chiamato Candy Crush, scaricato in un raro momento di cazzeggio misto a noia profonda con in background il riecheggio della mia voce sentenziante “ah ah ah io non ci cascherò mai” mentre, ai tempi in cui ero lucida e performante nelle mie mansioni quotidiane, osservavo con sufficienza i drogati alienati dalla salvifica esplosione delle caramelline maledette.
Ma il vero protagonista del mio pendolarismo si chiama lettore mp3. Lo dimentico nelle tasche (bucate) della giacca, alle volte, ché desidero concentrarmi a fondo sulle mie (ormai sporadiche) letture mattutine anziché congratularmi mentalmente della mia consolidata capacità di carpire tutte le boiate amabilmente cantate in inglese, anche dalla band più figa che, a causa del mio minuscolo poliglottismo, poi scopro che tanto figa non è. E che potrebbero benissimo andare a cagare, con tutte le cacchiate che tentano di propinare a noi che madrelingua inglesi non siamo. Maledetti.
Il lettore mp3, dicevo, è un oggetto non sempre indispensabile, ma assolutamente salvifico. Perché è quando arriva lui, quello con le sembianze del pendolare anonimo con la faccia scocciata e la valigetta marrone che sì, ok sei una persona importante, o il ragazzino con lo skate che “ma che cazzo ci fai alle 8 del mattino su sto treno, ti prego salvati e vai dormire, tu che puoi”, che si siede sempre ed immancabilmente a fianco a te e, cosa fa?
Apre un fastidiosissimo pacchetto di patatine o, peggio, di croccantissimi crostini, la varietà più croccante presente sul mercato, si presume. E inizia a mangiare, a sgranocchiare, incessantemente, spargendo con i suoi movimenti l’olezzo di aglio e cipolle che magari ti disinfetta la faccia e le budella, ma alle 8 del mattino anche no.
Ecco. Se non ci fosse il lettore mp3, io inizierei a sprofondare, per quanto possibile, sul sedile, concentrando tutte le mie energie e forze mentali sul desiderio forsennato di diventare un tutt’uno con le rotaie, con i motori, con il pavimento del treno. Svilupperei una lieve forma di Turette nello sforzo colossale di non strappargli il pacchetto e calpestarlo per terra guardandolo con gli occhi iniettati di sangue, sotto lo sguardo attonito ma anche distratto di Londoners abituati a tutto, quindi impassibili. O, semplicemente, tirargli un pugno in testa.
Ancor più semplicemente, di solito mi limito a cambiare di posto, per la pace e la gioia di tutti. Soprattutto la mia.
Essere misofonici in un Paese in cui lo snack preferito, giorno e notte, sono le patatine, in qualsiasi formato, forma e gusto, è una maledizione. Se poi possiedi la sovrannaturale capacità di attirare i mangiatori accaniti di codeste pietanze come gli avvoltoi approcciano le carcasse di cadaveri, allora il tuo sistema nervoso può dirsi fottuto.
E voi, sporadici lettori, avete qualche abitudine/rito sacro cui non rinuncereste mai nel tragitto mattiniero/pomeridiano/serale casa-lavoro?
Qualche personaggio di cui fareste volentieri a meno, volenti o nolenti (vedi disturbi neurologici della qui scrivente?). Ditemi che non solo la sola, su.
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Prendo la bici per andare a lavorare, anche se piove. Non rinuncerei mai alla bici di prima mattina 🙂 Come cantavano i bandabardò: “Vento in faccia, alzo le braccia pronto a ricevere il sole”.
Buon fine settimana!
Ciao annaba1, sei fortunatissima! Non sai quanto mi piacerebbe andare al lavoro in bici, ma è davvero distante da dove abito (east london, e lavoro a croydon), l’unica soluzione sarebbe quella di comprarmi una bici e fare metà tragitto su due ruote e l’altra metà in treno, chissà!
Buon weekend a te!